L’inizio è bellissimo: poetico e semplice al
tempo stesso. Inutile sottolineare l’atmosfera alla Melville (‘Chiamatemi
Ishmael…’): ancora più semplice e forse proprio per questo più potente. La prosa
è spesso al limite della poesia in questo libro: qualcuno l’ha trovato il suo
peggior difetto, per me è stato il miglior pregio. Le frasi da citare sono
tante, troppe per farle stare in un post (ma perfette per ‘cinguettare’ di
quando in quando per qualche giorno).
Le epigrafi all’inizio del libro già dicono tutto e il contrario di
tutto (Ricordati che devi morire / Ricordati che devi vivere): in mezzo c’è un
mondo di storie. Sì, perché le storie, o
meglio, lo story-telling (il raccontare storie) sono al centro di quest’opera.
Lo storytelling inteso come intrattenimento, formazione, rituale di passaggio,
nel suo valore originario, dunque, ricorre continuamente: l’artefice è Pew, il
guardiano cieco del faro, mentre Silver è l’apprendista (alla fine infatti sarà
lei a fare le veci di Pew e prendere in mano le redini del racconto).
L’impressione è quella di tante storie che si susseguono all’interno di una sola.
L’arte del raccontare, la narrazione, viene messa in relazione con il faro.
Il faro assurge a simbolo della narrazione ed il custode del
faro ne è lo strumento ("Un custode del faro era considerato bravo se sapeva più
storie dei marinai…"). Il compito di Pew, "un vecchio con una borsa di storie
sotto il braccio", è quello di addestrare Silver a raccontare storie.
La presentazione dei luoghi e dei personaggi proietta subito il
lettore in un’atmosfera surreale, da fiaba: la protagonista ha origini
particolari e vive in una casa “in pendenza in cima a un dirupo”… e quando dice
in pendenza non scherza, tant’è che madre e figlia sono costrette a muoversi
tenute da un'imbracatura per non cadere giù nel dirupo. Come in una fiaba che
si rispetti la tragedia è dietro l’angolo e dopo poche pagine, la madre muore
per salvare la figlia, che continuerà la sua avventura in modo ancor più
bizzarro, facendo compagnia al vecchio guardiano cieco del faro. E qui i topoi
si rincorrono, mito e fiaba si mescolano e lo story-telling impazza.
Tutta la parte della storia del faro è stata ispirata, secondo me, dal
bellissimo libro di Bella Bathurst, Lo
splendore degli Stevenson, che ho letto tempo fa e che approfondisce il
destino della stirpe degli Stevenson, che avevano dedicato la loro vita alla
costruzione dei fari scozzesi. Tutti tranne uno, diventato famoso come l’autore
di Dr Jekyll e Mr Hyde e L’isola del tesoro, a cui si fa riferimento
spesso, in un gioco di rimandi intrigante per il lettore attento.
Un cenno a parte meritano i nomi, sia quelli dei personaggi che dei
luoghi. Silver e Pew entrano a far parte del ‘gioco stevensoniano’: sono tratti
infatti da ‘L’isola del tesoro’ (anche se della malvagità dei personaggi
originari non hanno nulla…), Babel Dark
porta in sé riferimenti biblici e letterari insieme (la torre di Babele e la
parte oscura dell’uomo). La storia di Babel incarna quella di Jekyll e Hyde:
come il protagonista stevensoniano, Babel Dark ha due nature ma rovesciate perchè la
parte cattiva è quella reale mentre quella buona emerge solo in un secondo
tempo ed è quella che viene tenuta nascosta. La svolta: Stevenson diventa uno
dei personaggi del racconto e fa visita a Babel Dark, il quale gli ispira la
storia di Jekyll e Hyde. Nella storia fa capolino anche Charles Darwin, che
funge da controcanto alla riflessione sullo storytelling: come lui studiava le
origini dell’uomo, Jeanette Winterson pare interrogarsi sulle origini della
narrazione.
P.S.: Ho trovato un video promozionale su YouTube molto bello:
Per vedere dove è ambientata la storia: Cape Wrath.
Visualizzazione ingrandita della mappa
“My mother called me Silver. I was born part precious metal part
pirate.” The first line is beautiful: poetical and simple at the same time. It’s
impossible not to think about Melville and his ‘Call me Ishmael’: even simpler
and more powerful. Prose is often on the brink of poetry in this book: some
found it a flaw, I found it a good point. There’s a lot worth quoting, too much
for a single post (…but perfect to “tweet” every now and then for a couple of
days).
The epigraphs at the beginning of the book say everything and its
opposite (Remember you must die / Remember you must live): in the middle
there’s a world of stories. Indeed, because stories, or better storytelling is
at the core of this work. Storytelling is meant as entertainment, formation,
rite of passage and it’s according to its original meaning that it recurs
throughout the book: the craftsman is Pew, the blind lighthouse keeper, whereas
Silver is the apprentice (she takes Pew’s place in the end, holding the reins
of the story). I got the impression of a series of stories intertwined in one.
The art of storytelling, the narration, is related to the lighthouse (IT WAS
SOON DISCOVERED THAT EVERY LIGHT[HOUSE] HAD A STORY – NO, EVERY LIGHT WAS A
STORY, AND THE FLASHES THEMSELVES WERE THE STORIES GOING OUT OVER THE WAVES, AS
MARKERS AND GUIDES AND COMFORT AND WARNING), which rises as a symbol of
narration itself and the lighthouse keeper represents the instrument of
narration (A GOOD KEEPER WAS ONE WHO KNEW MORE STORIES THAN THE SAILORS). Pew’s
task (AN OLD MAN WITH A BAG OF STORIES UNDER HIS ARM) is to teach Silver the
art of storytelling.
People and places introduce the reader into a surreal fairy-tale atmosphere
right from the start: the protagonist has unusual origins and lives “in a house
cut steep into the bank”… and when she says ‘steep’ she does mean it… so much
so that mother and daughter must use a harness not to fall down. Like in every
good tale, tragedy is just around the corner and, after a few pages, the mother
dies in order to save her daughter, who oddly ends up with the blind lighthouse
keeper. From then on, motif after motif, myth and fairy-tale intertwine and
storytelling is in full spin.
The part on the history of the lighthouse was inspired -I think- by
Bella Bathurst’s beautiful book, Lighthouse
Stevensons, that deals with the fate
of the Stevensons, who devoted their lives to the construction of Scottish
lighthouses. All except one, who became the famous author of The Strange Case
of Dr Jekyll and Mr Hyde and Treasure Island. Those books are often referred
to, in some sort of quotation game for the attentive reader.
A mention apart is deserved by the names, both the characters’ and those
of places. Silver and Pew are part of Stevenson’s quotation game: they both
come from Treasure Island (even is they don’t have anything of the original
characters’ wickedness). Babel Dark bears biblical as well as literary
reminiscences: the Tower of Babel and the dark side of man. In fact Babel’s
story embodies Jekyll’s: like him Babel Dark has got two opposite personalities.
In his case these personalities are reversed: his evil side is real, whereas
his good side comes out after a while and is kept secret. Unbelievable:
Stevenson is one of the characters and pays a visit to Babel Dark, whose story
inspires him his masterpiece. Charles Darwin is also one of the characters,
whose function is related to the author’s reflection on storytelling: he
studied the origins of man, just like Jeanette Witerson seems to ask herself
–or the reader- about the origins of narration.
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