23 giu 2025

'The Islanders': mappe dell'invisibile

 


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Sulla scia di The Prestige ho preso The Islanders, sempre di Christopher Priest.

Appena ho iniziato a leggerlo ho subito pensato a Le città invisibili di Italo Calvino. Nonostante l’apparente distanza (spaziale, temporale, stilistica…) si tratta sostanzialmente della stessa operazione: un’operazione totalmente fantastica (ma al tempo stesso realistica e assolutamente verosimile) di topografia letteraria il cui scopo è molto diverso da quello dichiarato. In entrambi i casi, infatti, il lettore viene portato a riflettere sulla natura dell’esistenza e la percezione del reale: identità, memoria, esperienza… quanto è soggettivo di ciò che percepiamo? Probabilmente tutto. Sarà che Calvino è in assoluto il mio scrittore italiano preferito, ma la sua digressione in questo mondo fantastico è maggiormente filosofico-matematica rispetto a Priest, la cui opera è più focalizzata sulla relazione dei vari personaggi con i paesaggi ed ogni tanto questa relazione assume toni misteriosi, quasi inquietanti (d’altronde è principalmente uno scrittore fantascientifico). Con questo non voglio sminuire il libro di Priest, che ho letto in originale ed ho trovato estremamente fantasioso: è incredibile la capacità di creare un intero atlante dal nulla.

Le isole di Priest sono spesso racconti frammentati, ma in Calvino la cornice è chiara e la struttura è matematica. La cornice: Marco Polo dialoga con l’imperatore Kublai Khan e gli descrive le città del suo regno, che è così vasto da non consentirgli di conoscerlo interamente. 

Il paradosso: un uomo che ha lasciato (e quindi ‘perso’) la propria città racconta ad un uomo che ne possiede una infinità ma non ne conosce neanche una. Le versioni che Marco si inventa non sono altro che mille sfaccettature della sua Venezia, che lui conosce profondamente e che riesce a reinterpretare e reinventare in mille modi; mentre il Khan prende per buoni i suoi racconti perchè delle sue molte città non ne conosce neanche una.

La struttura: 18 dialoghi che incorniciano 9 capitoli, per un totale di 55 città raccontate, suddivise in 11 tipologie e distribuite con un criterio di rotazione degli elementi (siamo nel campo della combinatoria narrativa…).







THE ISLANDERS: MAPS OF THE INVISIBLE
After The Prestige, I picked up The Islanders, also by Christopher Priest.
As soon as I started reading it, I immediately thought of Le città invisibili by Italo Calvino. Despite the apparent distance (spatial, temporal, stylistic...), they are essentially the same operation: a completely fantastical (yet simultaneously realistic and utterly believable) literary topography that serves a purpose quite different from what is explicitly stated. In both cases, in fact, the reader is led to reflect on the nature of existence and the perception of reality: identity, memory, experience... How subjective is what we perceive? 
Maybe it's because Calvino is absolutely my favorite Italian writer, but his digression into this fantastical world is more philosophical-mathematical compared to Priest, whose work is more focused on the relationship between the various characters and the landscapes. Occasionally, this relationship takes on mysterious, almost unsettling tones (after all, he is primarily a science fiction writer). But I don't want to diminish Priest's book, which I read in English and found extremely imaginative: it's incredible how he can create an entire atlas out of nothing.
Priest's islands are often fragmented stories, but in Calvino the framework is clear and the structure is mathematical. The framework: Marco Polo dialogues with Emperor Kublai Khan and describes the cities of his realm, which is so vast that he cannot know it all.
The paradox: a man who has left (and thus 'lost') his city tells a man who owns an infinite number of cities but does not know even one of them. The versions Marco invents are nothing but a thousand facets of his Venice, a city he knows deeply and can reinterpret and reinvent in countless ways; meanwhile, Khan takes his stories as true because he doesn’t know his vast territories.

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