Nata a Oxford da genitori non inglesi (madre tedesca e padre australiano) Rachel Seiffert esplora spesso nelle sue storie i temi dell’appartenenza e del lascito culturale di un Paese. Il retaggio del passato, il ricordo, sono elementi molto importanti nella sua narrazione e si ripresentano in modi diversi.
Il libro di esordio della scrittrice, The Dark Room, racconta le storie di tre tedeschi in epoche diverse ma tutte in qualche modo collegate alla seconda guerra mondiale.
Il primo racconto segue un giovane fotografo mentre assiste alle fasi iniziali della guerra e all’aggravarsi della situazione fino allo scoppio; il secondo racconto segue invece una ragazzina che alla fine della guerra cerca di portare in salvo i fratellini dopo che i genitori nazisti sono stati arrestati; il terzo e ultimo racconto si svolge 50 anni dopo e sembra non aver nulla a che vedere con i tragici eventi finchè il protagonista scopre che il caro nonno defunto era un nazista. Sono tre protagonisti nei quali apparentemente è difficile immedesimarsi eppure parola dopo parola ci si trova come intrappolati nella loro psiche, le loro emozioni ci travolgono, grazie alla sapiente scrittura della Seiffert. Una scrittura essenziale, mai ridondante.
Il tema principale del libro non è, come si potrebbe pensare, la guerra, ma una riflessione sulla natura umana. I punti di vista sul conflitto sono opposti, divergenti e in apparenza l’unica cosa che hanno in comune i tre personaggi è proprio la guerra. Ma non è così: in realtà quello che davvero accomuna i tre protagonisti (ed è anche il tema principale del romanzo) è la colpa. L’autrice sembra riflettere sul concetto di responsabilità personale ma anche sulla responsabilità di un’intera nazione. L’essere figlia di madre tedesca ha sicuramente contribuito a comprendere ed esplorare quella sensazione, a percepire questa ‘eredità’ che in qualche modo tormenta l’anima tedesca ancora oggi.
L’altro grande tema è il ricordo, che si manifesta attraverso la fotografia: non a caso il titolo del libro richiama proprio il luogo dove le fotografie vengono sviluppate, prendono vita. Il riferimento è al primo racconto, dove questo tema è preponderante ed esplicito: il protagonista è infatti un giovane fotografo che, allo scoppio della guerra, comincia a documentare l’esodo degli ebrei senza neanche rendersene pienamente conto. In qualche modo la sua coscienza si risveglia propria grazie alle fotografie: il cambiamento dei paesaggi e delle persone in esse in qualche modo gli parlano.
Prestando attenzione, si noterà che anche negli altri racconti le fotografie hanno un ruolo importante, sono collegate all’identità (soprattutto in riferimento ai bimbi istituzionalizzati) e talvolta diventano il simbolo stesso dell’evento raffigurato.
RACHEL SEIFFERT: THE DARK ROOM
Born in Oxford to non-English parents (German mother and Australian father), Rachel Seiffert often explores issues such as belonging as well as the cultural legacy of a country in her stories. The legacy of the past, memories, are very important elements in her narration and recur in different ways.
Her debut book tells the story of three German characters from different periods but all somehow connected with World War II. The first story is about a young photographer who witnesses the initial stages of the war until its outbreak; the second story is about a young girl at the end of the war who tries to save her brothers after their Nazi parents were arrested; the third and last story is set 50 years later and has apparently nothing to do with the tragic events until the protagonist discovers that his beloved grandfather was a Nazi. The three protagonists seem difficult to identify with, and yet word after word you get caught in their psyche, you get overwhelmed by their emotions, thanks to Rachel Seiffert’s skilled writing: it’s essential and never redundant.
The main theme of the book is not, as you could think, war, but a reflection on human nature. The points of view on the conflict are opposing, divergent. The only thing the characters have in common is apparently the war. But it is not so: what unites them as well as the main theme of the book is guilt.
The author invites us to reflect on the concept of personal responsibility as well as of a nation’s responsibility. Being the daughter of a German mother was part of her understanding and exploring that sensation, and feeling the heritage that is still somehow tormenting the German soul.
The other major theme is memory, which is manifested through photography: it is not by chance that the title of the book is the room where photographs are developed. The most immediate reference is to the first story, where the theme is predominant and explicit: the protagonist is a young photographer who starts documenting the exodus of the Jews without realizing it. His conscience awakens thanks to the photographs: the changes in landscape and people that occur in the photos somehow tell him something.
You can easily notice that photographs have an important role in the other stories, too. They are linked to the identity of the characters (in particular with reference to institutionalized children) and they sometimes become a symbol of the events shown in the photo.
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