16 ago 2015

Merivel: un briccone alla corte del re.

Il protagonista de Il favorito di Rose Tremain è un briccone a cui inizialmente si fatica ad affezionarsi: lui stesso si paragona ad un maiale e descrive sia il suo aspetto fisico che le sue abitudini in termini niente affatto lusinghieri. Si prende gioco di sè, si definisce spesso Buffone. Le manifestazioni corporali abbondano, così come le azioni immorali. Perché mai un lettore dovrebbe immedesimarsi in un simile personaggio? Eppure, ad un certo punto, ci si ritrova a passare dal disappunto all’empatia, attraverso il divertimento suscitato da alcune situazioni comiche in cui il poveretto si ritrova.
La storia di Merivel si intreccia con la storia di Londra e strizza l’occhio sia alla tradizione picaresca all’origine del Tom Jones sia alla tradizione diaristica di Pepys e Evelyn: è infatti testimone dell’epidemia di peste e del grande incendio che distrusse la città verso la metà del Seicento. Come ogni buon furfante che si rispetti, esce illeso da entrambi gli eventi. 
C’è anche un excursus sulla pazzia: Merivel raggiunge il suo caro amico Pearce in una sorta di manicomio quacchero dove, ahimè, non tarda a combinare un grande pasticcio e viene costretto a sposare una pazza dopo averla ingravidata. Non poteva mancare, a questo proposito, un riferimento al tema dell’Ofelia shakespeariana, tema a me caro e di cui mi sono occupata spesso.
Infatti Merivel sogna la morte per annegamento della moglie e la descrizione del cadavere in acqua richiama alla memoria la famosa Ofelia preraffaellita di John Everett Millais: “I capelli fluttuavano tra l’erba del fiume e la bocca era bluastra e aperta come quella di un pesce.”
Il film tratto dal libro si intitola ‘Restoration’ ed ha come protagonista Robert Downey jr. che nel ruolo del briccone è davvero indovinato, anche se forse gli manca un po’ di bruttezza e quella pinguedine di cui il protagonista del libro si lamenta. L’episodio catartico del cuore è reso molto bene, anche se nel film il re lo nota in questa occasione e lo manda a chiamare a palazzo per la sua audacia, mentre nel libro viene accolto a palazzo su intercessione del padre. Molto bello l’affresco della Londra al tempo della Restaurazione: i costumi, i paesaggi, le azioni, tutto riporta lo spettatore indietro nel tempo.




Il sequel, Merivel. Un uomo del suo tempo, è altrettanto bello: fin dalle prime righe si ritrova l’inconfondibile tono di Merivel, sicuramente più amareggiato dalla vita, più rassegnato, più vecchio insomma… Sono passati 20 anni dal primo libro e lo stesso tempo è passato nella vita del protagonista:  tutti intorno a lui sono invecchiati, compreso il suo fedele servitore Will, che è ormai decrepito. L’atmosfera che pervade il testo all’inizio, e che domina anche i sentimenti del protagonista è la malinconia, da cui cerca di rifuggire per tutto il libro. Il tono con cui parla di questo sentimento rivela le approfondite ricerche dell’autrice e, al tempo stesso, la grande capacità di riuscire a non cadere mai nell’enciclopedico, nel non essere mai sfacciata con i riferimenti. E’ chiara, dal modo in cui Robert Merivel parla del suo stato d’animo, la conoscenza della teoria degli umori dell’epoca e, soprattutto, dell’opera di Robert Burton (Anatomia della Malinconia). Nel Seicento c’era la convinzione che l’indole dell’uomo fosse determinata dalla trasformazione dei quattro elementi (aria, acqua, terra, fuoco) in sostanze liquide corporee chiamate UMORI. Il predominare di una di queste sostanze determinava una disarmonia e quindi uno stato patologico: così la malinconia era determinata dalla ‘bile nera’ e nel 1621 il trattato di Robert Burton ne disquisiva come di una malattia della quale si davano cause, conseguenze e rimedi. Merivel viene rimproverato dalla figlia che lo invita a cercare di superare questo suo stato e lui stesso ne parla come di una malattia da cui guarire… tale malattia risulta ancora più grave se chi ne è colpito è il giullare del re
Merivel è consapevole di questo suo ruolo e teme di vederlo compromesso. Il nostro eroe è un dottore, ma non appartiene ai ‘physicians’ reali: ha iniziato la sua carriera a corte ‘curando’ i cani del re e ne ha ottenuto la benevolenza grazie alla capacità di farlo ridere e tenerlo di buon umore. In questo secondo libro Merivel, che è in vena di riflessioni, soprattutto quando è preso da qualche ‘attacco di malinconia’, fa spesso riferimento al Re Lear e a quella ‘foolishness’ che lo contraddistingue nel momento della pazzia. Con un gioco di parole Merivel teme di passare da ‘Fool’ (giullare, buffone… del re) a ‘foolish’ (sciocco, stupido).
Del primo libro viene mantenuta la struttura episodica, ma questa volta ho avvertito fortemente l’atmosfera di una morality play al contrario più che di un romanzo picaresco. Si percepisce la struttura del Pilgrim’s Progress (testo che appartiene pienamente all’epoca di Merivel e che, a sua volta, faceva riferimento all’Everyman): Merivel è un anti-Everyman che, sentendo la morte vicina, vuole realizzare un qualche ‘compimento’ per rendere la sua vita degna di essere stata vissuta ma, vista la sua superficialità, non porta a termine nessuno dei suoi buoni propositi. Il parallelismo con il percorso del pellegrino è chiaro se prendiamo in considerazione il sottotitolo dell’opera di Bunyan: ‘from this world to that which is to come’. E’ il percorso che Merivel compie sotto la guida del fantasma di Pearce, il suo amico quacchero, che era morto di peste nel primo libro (non a caso è quacchero anche il punto di vista di Bunyan). La natura episodica è dunque più vicina a quella del pellegrino che al picaro: i vari incidenti che continuamente distolgono il protagonista dai suoi buoni propositi non sono che ostacoli volti a deviarlo dalla redenzione. Ci sono vari riferimenti a ciò nel testo, a partire dalla scansione dei capitoli: con un’ottica religiosa si passa da ‘The Great Enormity’ a ‘The Great Captivity’, ‘The Great Consolation’ per approdare infine a ‘The Great Transition’. Sono le tappe di un anti-pellegrino che infine, pur non avendo fatto ammenda, riesce a interpretare nella giusta prospettiva la sua vita (prima di morire infatti rilegge il diario che corrisponde al primo libro e vede che ‘haste’ e ‘foolery’ e ‘madness’ hanno dominato la sua vita e le sue scelte). Un altro riferimento importante viene da Merivel stesso, in preda ad una sorta di epifania, quando scrive ‘I was a poor Sir Nobody’… il contrario di Everyman, appunto.

Un altro aspetto interessante di questo secondo libro è la presenza di un paragone costante tra uomini e animali: fin dalle prime righe del primo libro Merivel si era paragonato ad un animale e ciò che lo contraddistingue è spesso, in quel testo, l’abbandonarsi a bisogni primari, animaleschi. In questo sequel l’immagine viene sviluppata e assurge a metafora: Merivel paragona molte persone che incontra ad animali ma, soprattutto, allaccia il suo destino a quello dell’orso che porta a casa da Versailles. La prima volta che lo vede è in gabbia e sta soffrendo: ne prova una pena infinita, al punto da pagare per portarlo con sé in Inghilterra. Da questo momento in poi il destino dell’orso e quello di Merivel sono legati metaforicamente. La condizione dell'animale non è troppo diversa da Merivel: ‘It has ceased to howl and is sitting in a puddle of its own excrement, staring out at the world’. Anche Merivel non è più preso dagli attacchi di pianto dei primi capitoli, ma è ben lontano da aver compiuto ciò che desiderava, sta ancora nel suo ‘brodo’ ad attendere di portare a compimento un’impresa che gli è ancora sconosciuta. Qualche pagina dopo è lui stesso ad ammetterlo: “it was not difficult to imagine myself as the animal in the cage, constrained as to what success I could ever achieve, after the lamentable failure of my effort at Versailles’.




MERIVEL: A RASCAL AT THE KING'S COURT
The protagonist of Restoration by Rose Tremain is a rascal with no chances of getting into the reader’s heart: he compares himself to a pig and describes himself, his appearance, his habits with unflattering words. He makes fun of himself, he calls himself a Jester. Corporeal manifestations as well as immoral actions are frequent. Why should a reader identify him/herself with such a character? And yet, at some point, one feels empathy for him.
Merivel’s story is intertwined with London’s story and winks both at the picaresque tradition of Tom Jones and the tradition of diaries as in Pepys or Evelyn: in fact he’s a witness to the great plague epidemic as well as the Great Fire that almost destroyed London toward the half of the century. Like any respected rascal, he gets out of both events unharmed. There’s also an excursus on madness: Merivel joins his dearest Friend Pearce in some sort of quaker asylum where, alas, he messes things up and is obliged to marry an inmate after impregnating her. There’s also the unfailing reference to the shakespearean Ophelia, which is a theme I have been studying a lot. Merivel, in fact, dreams of his wife’s drowning and the description of her corpse on the water reminded me of the famous pre-Raphaelite Ophelia by John Everett Millais: “Her hair streamed among the waterweed and her mouth was blueish open like the mouth of a fish”.
A film has been made from the book and has Robert Downley jr in the role of Merivel: I think he’s quite perfect for the part, except for the fact that he lacks the uglyness and the fatness of the original character. The cathartic episode of the heart is well portrayed in the film, even if in that case the king takes notice of Merivel for his daring, while in the book he gets to court thanks to his father’s intercession. London at the time of Restoration is beautiful: the costumes, the landscape… everything takes the audience back in time. 
Tremain wrote a sequel to the book, Merivel. A Man of His Time, which is altogether beautiful: right from the start the reader can recognize Merivel’s tone, he is surely saddened by life, he’s quite resigned, he’s older… 20 years have passed: everyone around him is older and his faithful servant Will is a decrepit old man. The atmosphere pervading the beginning of the book, as well as the protagonist’s feelings, is melancholy. Merivel tries to get rid of this feeling for the whole book. The way he writes about this feeling reveals accurate research and great skills: the reader never perceives the author’s research. The references are never evident, but you understand from the way Merivel writes about his feelings, that his mind is tuned to the Renaissance theory of humours and, above all, that the author knows Robert Burton’s work (The Anatomy of Melancholy). According to that theory, a man’s temperament was determined by the influx of the four elements (air, water, earth, fire) on bodily fluids, called humours. When one of the four substances prevailed over the other the substances were not in balance, and so a man was considered sick: melancholy was associated to the ‘black bile’ and Robert Burton in 1621 wrote about it as a sickness with a cause, consequences and remedies. Merivel’s daughter often rebukes her father for his condition and he writes about it like something to be healed of… that kind of sickness is very serious when it affects the King’s jester, because that’s what Merivel is. He’s well conscious about his role and his sickness raises fears of compromising his relationship with the King. Merivel is a doctor at the court of king Charles II, but he doesn’t really belong to the Royal Physicians, he started his career healing the King’s dogs and had the King’s benevolence because he was the only one who could make him laugh and keep him in good humour. In this last book Merivel, who is prone to reflections under the effects of his melacholy, often refers to King Lear and his ‘foolishness’. He makes some word play when he’s afraid of getting from ‘Fool’ to ‘foolish’ at the eyes of the King. 
The episodic structure of the first book is still there, but this time I felt a strong atmosphere of morality play rather than of a picaresque novel. You can perceive something of the Pilgrim’s Progress (which is a text belonging to Merivel’s age and that referred to a the morality play Everyman): Merivel is an anti-Everyman who, feeling Death close,  wants to accomplish something to make his life worth living but , due to his superficiality, cannot bring any of his good intentions to an end. There’s a strong parallelism with Bunyan’s pilgrim, whichi s clear if we take the subtitle of Bunyan’s work into consideration: ‘from this world to that which is to come’. That is exactly Merivel’s journey, which he accomplishes under the guidance of Pearce’s ghost, his quaker friend who died of plague in the first book (note that Bunyan was also quaker). The episodic nature of the book is probably nearer to a pilgrim’s journey than a picaro’s: the different incidents that continually withdraw the protagonist from his good intentions are nothing other than obstacles standing in the way of his Redemption. I think we can find some references in text, first of all the chapter division: there’s a religious point of view in the passage from ‘The Great Enormity’ to ‘The Great Captivity’, to ‘The Great Consolation’ until ‘The Great Transition’. Those are the stages of an anti-pilgrim’s journey who can finally, even if he doesn’t make amends for his sins, see his life from the right perspective (before dying he reads his diary and sees the ‘haste’ and ‘foolery’ and ‘madness’ ruling his life. Another important reference to the morality play comes from Merivel himself, when he has some kind of epiphany and writes ‘I was a poor Sir Nobody’… which is indeed the contrary of Everyman.
Another interesting element in this second book is the constant comparison betwteen humans and animals: right from the first lines of the first book Merivel has been comparing himself to an animal and he often gives way to his primary and animal-like needs. In the sequel the image is developed and becomes a full metaphor: Merivel often compares the people he meets to animals but, above all, he feels in some way linked to the caged bear he bring home from Versailles. The first time he has seen it, the bear was crying out loud in his cage and he was so moved by that condittion that he paid a lot of money to take it to Bidnold, in England. From that moment on, the bear’s and Merivel’s destinies are metaphorically linked. The bear’s situation once in Bidnold is not very different from Merivel’s: ‘It has ceased to howl and is sitting ina puddle of its own excrement, staring out at the world’. Merivel is no longer subject to sudden melancholy strokes, like he was in the first chapters, but he’s still far from having accomplished what he had in mind, he’s still ‘stewing in his own juice’ while waiting to accomplish anything in his life. After a few pages he admits: “it was not difficult to imagine myself as the animal in the cage, constrained as to what success I could ever achieve, after the lamentable failure of my effort at Versailles’.

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